Non è la prima volta che la ricerca scientifica ha guardato all’impiego delle staminali per il trattamento delle fistole perianali. In passato alcuni studi avevano cercato di valutare l’efficacia delle cellule staminali emopoietiche, ovvero noncellule ancora differenziate, “embrioni” dei diversi componenti fondamentali del sangue. Il tentativo di impiegarle per fermare il processo infiammatorio cronico alla base delle fistole perianali non ha avuto però buoni risultati. «Con questo studio abbiamo dimostrato che, nonostante vi sia un buon grado di risposta clinica in alcuni pazienti, i rischi della procedura con cellule staminali emopoietiche possono sovrastare i possibili benefici», spiega il professor Danese.
1 paziente su 3 con malattia di Crohn è colpito da fistole
Le fistole sono delle aperture tra l’intestino e la cute vicino all’ano e interessano circa un terzo delle persone con malattia di Crohn. Causate dall’infiammazione dell’epitelio, il rivestimento della parete interna dell’intestino, fino all’80% dei casi non rispondono ai trattamenti, dall’intervento chirurgico all’uso di immunosoppressori sistemici, antibiotici o inibitori del fattore di necrosi tumorale, una molecola coinvolta nell’infiammazione.
Lo studio ha valutato l’uso locale di cellule staminali mesenchimali per il trattamento di queste fistole “resistenti”. Tra il 2012 e il 2015 il team ha coinvolto 212 pazienti con Crohn dividendoli in due gruppi. 107 pazienti hanno ricevuto questo trattamento con le staminali, un’iniezione di 120 milioni di cellule mesenchimali, i restanti 105 un placebo. Dopo due anni le fistole s’erano del tutto cicatrizzate nel 50% dei pazienti del primo gruppo rispetto al 34% del secondo.
«Rispetto all’uso di cellule emopoietiche quello di cellule mesenchimali da tessuto adiposo sembra più promettente. Queste cellule staminali sono ormai da molti anni oggetto di interesse da parte dei ricercatori perché, oltre alla loro capacità di generare nuove linee di cellule di grasso, osso e cartilagine, rilasciano intorno a sé sostanze che sembrano capaci di modulare l’attività del sistema immunitario e quindi dell’infiammazione», conclude lo specialista.